martedì 24 gennaio 2012

L'ANIMA SLAVA - La voce di Radio Leningrado, il simbolo della resistenza all'assedio nazista e alle purghe ideologiche del PCUS






Scritto nel 2006, poi adattato per il teatro e diretto da Sergio Ferrentino, lo spettacolo narra e inscena l'assedio più lungo della storia moderna. Radio Leningrado, con annunci, programmi musicali e culturali, fino alla filodiffusione del suono di un metronomo, ha cadenzato la lotta quotidiana per la sopravvivenza della popolazione in nome di un patriottismo "interno", ispirato dai propri artisti, dallo spirito eccentrico ed europeo che fin dalla fondazione aveva caratterizzato la "nuova" (fu fondata solo nei primi del ‘700) capitale del ex-Impero Russo.

I narratori, che all'inizio declamano soltanto gli annunci radiofonici, preceduti dall'altisonante slogan: "Ascoltate: parla Leningrado, la città di Lenin!" si fanno attori, recitando il dualismo vissuto dagli abitanti della città,  in particolare dagli speaker radiofonici, quando alle voci ufficiali, cominciano a contrapporsi quelle soggettive. Ol'ga Berggol'c, anima di Radio Leningrado, diventata nel dopoguerra un simbolo vivente dell'epopea del 41-42, scrisse un diario trasmesso sulle frequenze, destinato a infondere coraggio e speranza ai suoi concittadini e ai soldati al fronte.
Con la lucida consapevolezza che può avere un intellettuale sotto una dittatura (indubbiamente le purghe del '38 erano ancora vive nel suo ricordo) si occupò di redigere un memoriale privato, sul quale espresse indignazione, paura, e la rabbia verso il regime che ora chiedeva il suo aiuto (celebre il discorso "Fratelli e sorelle" pronunciato il 3 luglio del ‘41 da Stalin all'inizio della guerra, che in quella sola occasione, scese dal piedistallo chiese il contributo della società civile nel difendere l'interesse comune contro i tedeschi) ma che sembrava aver dimenticato di difendere e proteggere Leningrado quando ancora era possibile:
       



(...) "La cosa più giusta sarebbe uccidersi. Perché tutt'intorno non c'è che vergogna. Vergogna in ogni particolare. Nelle periferie non c'è possibilità di ripararsi dalle bombe, da nessuna parte. E questo lo chiamano "essere pronti alla guerra". (...)

 il racconto passa in rassegna le agghiaccianti condizioni che per 900 giorni hanno tormentato la città e i suoi abitanti. I bombardamenti avevano colpito uno zuccherificio nel dintorni di Leningrado, e lo zucchero si era sciolto nel terreno. La terra sotto le macerie dello stabilimento veniva venduta al mercato nero a prezzi che si alzavano man mano che il blocco si faceva più asfissiante, anche quando era rimasta solo terra. L'inverno più freddo mai registrato in Russia fino a quell'anno e la mancanza di combustibili costrinsero la popolazione a coprirsi di strati e strati di vestiti, a bruciare qualsiasi cosa fosse legno carta, anche nella sede della radio , dove le attrezzature erano costantemente minacciate dal gelo. (...) Il corpo, svilito dai propri bisogni, cominciava ad intaccare la sfera del pensiero fino ad indebolirne e condizionare il funzionamento, isolando le coscienze e spingendo all'individualismo, compromettendo proprio quello spirito a cui Leningrado guardava come ultima risorsa di coraggio e voglia di vivere. La città era incupita e soffocata da una morsa di odio, verso il nemico esterno e invisibile che si combatteva nelle strade, con la sfida della sopravvivenza. Nelle precipitose evacuazioni ritardatarie, organizzate dal governo, vengono uccise tante persone quante se ne portano in salvo.

Improvvisamente, qualcosa sembra riportare coesione nella comunità, un annuncio che richiede musicisti.  Come un "deus ex machina e", la partitura che Shostakovich aveva cominciato durante l'assedio, è stata terminata e viene consegnata da un elicottero. Si tratta della Settima Sinfonia, "Leningrado", che il compositore ha finito dopo la sua evacuazione. Tutta la Russia, una sera, ascolta per la prima volta la sinfonia, eseguita da un orchestra improvvisata, da musicisti di ogni livello e provenienza, con strumenti scampati alle stufe e camini. La frase: "Ascoltate: Parla Radio Leningrado, La città di Lenin!" apre anche questa trasmissione. Una sola voce può racchiuderne tante con armonia: la musica.

L'assedio di Leningrado è uno dei tanti episodi controversi nella storiografia russa, con la quale eredità a tutt'oggi l'ex unione sovietica sembra non riuscire a fare i conti.  Nel rileggere gli avvenimenti che precedettero e seguirono l'epopea della città di Lenin (oggi tornata a chiamarsi San Pietroburgo) non è possibile non notare che i nemici della città non furono solo le armate naziste. Negli anni immediatamente anteriori al conflitto, Germania e Unione sovietica firmarono un patto di non aggressione che prevedeva la spartizione e l'annessione della Polonia e dei Paesi Baltici ai rispettivi territori. Per quanto riguardava la politica interna, gli anni trenta furono segnati dal terrore staliniano, accompagnato da una propaganda ideologica di euforia, benessere e spensieratezza.  Quando nel giugno del '41 le truppe di Hitler misero in atto il piano espansionistico tedesco, l'armata Rossa era decapitata e quasi senza vertici dirigenziali.
Leningrado non fu evacuata e cadde impreparata sotto l'assedio. In caso di sconfitta, il destino della città era segnato, in quanto sia Hitler che Stalin avevano intenzione di distruggerla.

Il ritiro delle truppe naziste e la fine della guerra non segnarono la fine delle tribolazioni di Leningrado. Dopo le  onorificenze e celebrazioni, contenute rispetto all'eroismo dimostrato dalla città, a cui Stalin non prese neppure parte, si aprì un nuovo periodo di epurazione ideologica e militare nei confronti di chiunque fosse stato associato alla città negli anni dell'assedio. Allontanato il pericolo di un' invasione, cessò la tolleranza del governo nei confronti del polo culturale lenigradese e ripresero sospetto e repressione, momento ricordato come "Caso Leningrado". Stalin in persona provocò e organizzò il caso imputando all'élitè economica e militare lenigradese accuse di opposizione e sabotaggio.  Il direttore del museo della resistenza fu arrestato, il memoriale chiuso, carte e documenti distrutte o occultate. Le montature giudiziarie portarono inoltre alla repressione di scienziati, intellettuali e i loro familiari e parenti. L'ideologo Zdanov, dirigente del partito e padrino del "realismo socialista" di Maksim Go'kij, si occupò di stroncare le voci culturali della resistenza, con la generica accusa di "formalismo". I nomi degli scrittori e musicisti che dedicarono la propria arte alla resistenza, la poetessa  Achmachova, lo scrittore Zochenko, il compositore Sostachovich e soprattutto Ol'ga Berggol'c si incontrano nell'indice di coloro che finirono sotto il mirino del "Rapporto Zdanov", che con una serie di articoli e pressioni di ogni genere aveva l'obbiettivo di mortificare, diffamare e terrorizzare, proprio chi aveva contribuito alla vittoria della resistenza . 

 Le definizioni "strutturalismo" e "formalismo" sono talmente laconiche e tautologiche da lasciare intendere che la dittatura non gradì l'ideale a cui si era ispirata la cerchia culturale lenigradese e il messaggio che aveva diffuso e trasmesso, negli anni in cui la repressione era stato un lusso che il Partito non si era potuto concedere. Il "Rapporto Zdanov", accompagnato da un elogio delle figura umana e politica del dirigente,  è stato pubblicato in Italia nel ‘49, dalle edizioni del PCI. La storia che racconta la guerra della città di Leningrado, ci descrive una resistenza volta a proteggere ciò che ha un valore più prezioso della vita umana, qualcosa che a differenza dell'uomo può vivere in eterno, anche se costretta al silenzio. All'inizio dello spettacolo di Ferrentino, di fronte a una platea gremita e attenta, è stato ricordato che oggi, gli autisti dei pullman turistici, nei pressi di San Pietroburgo, si fermano in uno spazio deserto dove non sorge assolutamente niente e con orgoglio e soddisfazione annunciano: "Qui abbiamo fermato i nazisti". Leningrado non si arrese su nessuno dei due fronti.

Ilaria Calamandrei

Articolo apparso su Critica Sociale n.1 2010





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