Le vostre vacanze sono finite e le mie non sono manco
iniziate. Che culo eh?
Sono così bisognosa di mare che invece di sognare il
surf spot tropicale e i suoi ritmi liberi, volo con l’immaginazione verso i
litorali italiani. Il bagno nella patria umanitas, l’immersione forzata nel
costume nazionale, la veritas che ti colpisce come il SuperTele del marmocchio
cafone, e Signora Madre, si scusi pure falsamente con il cuore gonfio di
orgoglio tanto quello scarpone di suo figlio non solcherà mai un campo di serie
A e non tromberà mai la velina mora e ancora più perfidamente penso dicendo
‘ma si figuri’ con il più smagliante e vincente dei sorrisi, non le dedicherà
mai una lettera grondante di pathos dal serale della De Filippi. Peccato non
sia femmina, le avrebbe dato della troia nel giro di quattro anni. Ma il mamma
non rompere e il ritrovamento delle lenzuola incartapecorite non gliele leva
nessuno.
Ho visto tre continenti ma certa roba solo in Italia.
I sassi di certe spiagge che ti chiedi perché i sassi,
possibile che dalle ere glaciali in poi l’acqua in questo punto della terra non
ha eroso un cazzo? E’ colpa dei palazzinari delle ricostruzioni post-belliche,
rubavano la sabbia e costruivano quelle orrende abitazioni che ognuno di noi vorrebbe
demolire a calci.
Le vecchie che si immergono sempre solo a mezza
coscia. Il dj set di metà mattina con il ballo di gruppo, piene di adolescemi
che non hanno capito che andare al mare con i genitori a quell’età è un reato.
Andate a fumarvi le canne fino alle cinque del mattino, ritardati, quello è
sviluppo, non avrete quattordici anni a vita, carpite l’attimo!
Le meduse e la terrificante scenetta scolpita ormai
nella mia coscienza, un dodicienne trattenuto a forza dal padre e pisciato da
tutti i suoi amici raggruppati in un sadico cerchio sghignazzante. Non posso
fare a meno di mandare un abbraccio consolatorio attraverso lo spazio e il
tempo alla donna adulta che avrà a che fare con questo maschio segnato dalla
sorte in una età impressionabile come la cera.
La bimba lavata con l’aiuto del secchiello e
l’immancabile bimbo coetaneo che la guarda pietrificato.
Una nazione al mare.
Le orecchie non vogliono vedere, il cuore non vuole
leggere ma non posso cavarmi gli occhi e fare una strage, sono costretta a
ricevere. E a vedere il galleggiante intimo sulla cresta dell’onda. Memorie da
sotto il cielo, di un’estate, italiana.
C’è un motivo se appena uno fa due lire si imbarca
verso il mare aperto.
Assorbente esterno che galleggi accanto a me, quanto fai
schifo. Di dove sei, da dove arrivi lo posso immaginare, ma chi, mai.
Quale ragazzina incurante ti ha buttato da una barca,
a bordo non c’erano cestini?
Quale adolescente innamorata ha sacrificato il pudore
e l’ecologia in nome della sveltina sotto le stelle cadenti?
Quale signora ti ha perso per strada senza voltarsi,
quanta insensibilità, il marito avrà rinunciato a capire che il mal di testa
vuol dire che se non fa il bravo il mal di testa è l’unica cosa che viene?
Le sconfitte non sono sostenibili
e senza ali non si vola.
Io sono già a riva lontano da te a raccontare che ti
ho visto e che schifo che fai.
Avanzerai sulla spiaggia con i tuoi simili, la buccia
di anguria ti farà compagnia, la plastica, il lattice di un compagno
preservante e le macchie d’alga vi nasconderanno malvolentieri, dopo che avrai
ribattuto a riva all’infinito ripetendo il mio schifo agli altri, resterai
nella memoria. Come l’alito cattivo di un brutto bacio. Come il pentimento per
uno sbaglio che sapevi già che avresti fatto.
Le sconfitte non si metabolizzano, si dimenticano
e senza ali non si vola.
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